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  • Le torri costiere e masserizie del Salento

    Fra XV e XVI secolo il Salento viveva il suo momento d’oro.

    Una rivoluzione agricola aveva riportato la gente nei campi portando l’economia ad un livello di floridezza come non si notava a perdita di memoria.

    Tuttavia, era anche il periodo delle invasioni turche, che dopo la presa di Otranto del 1480, calamitò continuamente flotte di predoni a fare veloci puntate sulle coste salentine allo scopo di rapina. Furti e rapimenti di donne e bambini per farne schiavi, erano quasi all’ordine del giorno, nella bella stagione.

    Fu allora che i proprietari terrieri cominciarono a capire che l’unico modo per poter porre un freno a queste scorrerie era fortificare le masserie. I predoni, infatti, non si dirigevano nelle città, dove potevano essere facilmente respinti, ma direttamente alla fonte dei beni che interessavano loro, ossia le campagne. Così, cominciarono a sorgere le prime torri, che fungevano da avvistamento ed in estremo caso anche di difesa. Numerose fonti dell’epoca narrano di assalti alle masserie, non ultima quella di Cerrate nel XVIII secolo, dove i contadini chiudevano le porte e si asserragliavano all’interno cercando di respingere gli assalitori con tutto ciò che potevano gettargli addosso dalle caditoie della torre.

    Partiamo da Masseria Melcarne, come centro di un ideale cerchio che racchiude tutto il territorio circostante, da Surbo, Squinzano, Torchiarolo e le marine… Vedremo la grande densità di queste torri svettanti sugli insediamenti agricoli, tutti datati già ai primi del Cinquecento. Lo Muccio si trova in agro di Torchiarolo, a nord, mentre il Barone Vecchio chiude il cerchio a sud. A est, invece, si erge la maestosa torre di masseria Solicara, mentre a ovest quella di masseria Mosco. Al centro, disseminate, tantissime torri di cui qui in foto ne vediamo qualcuna. Ad esse si aggiunse il lavoro fatto sulla costa da parte dell’imperatore Carlo V, che diede ordine di erigere le torri di avvistamento sulla costa, che coi loro segnali di fumo si mettevano in comunicazione con l’entroterra…

    Una lunga storia di resistenza, durata quasi fino alla fine dell’Ottocento, quando ancora si annotano presenze di bande armate lungo le coste, con “pirati” nostrani. Essi venivano a rubare qui dalla Calabria. Ancora oggi, dopo secoli, le pietre delle torri costiere sgretolate dal sole e il mare, continuano a ergere verso il cielo il loro muto urlo di battaglia.

  • La via del Carro

    Un paio di chilometri a nord di Masseria Melcarne, e parallelamente lungo tutta la costa che porta verso sud, corre ancora oggi un’affascinante strada carraia vecchia di quasi cinquecento anni. Le fonti storiche già ne parlano alla fine del Quattrocento, denominandola “via dello carro”, era l’antica autostrada del commercio salentino! Essa collegava Brindisi a Otranto, seguendo una direzione che manteneva in media 2-3 km di distanza dalla linea costiera, per evitare le zone paludose di cui era infestato quasi tutto il litorale.

    via del carro salento

    mappa-via-del-carroAd essa si collegavano tutte le numerosissime masserie, addensate sopratutto nella zona a nord di Lecce e subito dopo le Cesine, che erano le grandi macchine da produzione agricola che tenevano in piedi tutta la regione. Questa via era scavata dalle stesse ruote dei carri, che le fonti riportano costantemente in fila lungo la strada, da mattina a sera, per trasportare tutti i beni prodotti in zona: olio, vino, granaglie, varie produzioni agricole, ma anche i vari prodotti dell’artigianato che i contadini realizzavano in masseria. Si tratta di un’arteria di notevole importanza, che nei tratti in cui il terreno non presentava banco roccioso affiorante veniva saggiamente ricoperta da pietrame, con la stessa tecnica usata dai Romani, una perizia che in questa terra evidentemente non è stata mai dimenticata. Oppure, questo tracciato risale in parte, addirittura, proprio a quell’epoca. In effetti il percorso che segue era di notevole importanza anche duemila anni fa e non doveva essere molto dissimile dalla via “Traiano Calabra”, che univa Brindisi a Otranto.

    Oggi il percorso è in gran parte nascosto sotto la vegetazione, o coperto dall’asfalto della strada moderna che in alcuni punti le passa accanto. Ma ripercorrendo queste campagne non possiamo non sentire il richiamo dei nostri progenitori, che molto hanno lavorato fra queste zolle!

  • La Via del Carro

    Citata tantissime volte dalle fonti storiche, come solcata da una fila interminabile di ruote, la Via del Carro ha rappresentato per il Salento una fondamentale arteria di commercio, in un periodo cruciale per lo sviluppo di questa terra, quello in cui le genti si riversavano nelle campagne alla ricerca di lavoro.

    Era il 1500, i turchi avevano già distrutto Otranto e seminato scorrerie per tutta la regione, seminando autentico terrore fra la popolazione, tuttavia era un momento d’oro per l’agricoltura, le campagne tornavano ad essere popolate e fiorivano di ogni sorta d’attività. Il mondo stava cambiando, non si poteva perdere l’occasione. Ma era necessario proteggere queste comunità. Fu così che cominciarono a sorgere le masserie fortificate.

    Il granaio della città di Lecce era posto attorno alla cosiddetta Platea di Cerrate, un fitto insediamento fortificato, che forniva ogni bene agricolo a Lecce e al resto del Salento, fornendo pure le navi che partivano da queste coste per il resto d’Italia e d’Europa. La Via del Carro partiva da Brindisi, si dirigeva verso sud, correndo parallelamente al litorale adriatico, tenendosi a poca distanza da esso, da uno a pochi chilometri. Per gran parte di questo tragitto, che giungeva fino a Otranto, seguiva il tracciato di una via ancora più antica e importante, sorta durante l’Impero Romano, la “Via Traiana Calabra”, che a sua volta proseguiva il percorso della famosa via Appia, che partiva da Roma per arrivare al porto dell’Impero: Brindisi.

    Lungo tutto il percorso della Via del Carro si sviluppano numerosi feudi agricoli, disposti ovunque. Il nord leccese era più densamente abitato e sviluppato. Partendo da qui, è possibile ancora oggi osservare i solchi rimasti scavati sul fondale roccioso di questa storica via del commercio salentino. Tutte le masserie interessate dal passaggio di questa arteria erano collegate a questa da una bretella, in qualche caso basolata (laddove spariva il fondale roccioso) ma nella maggior parte dei casi impressa nella roccia stessa col segno delle ruote ferrate. Esempio di questa traccia si trova nel pieno del bosco del Parco Rauccio, dove nel panorama delle querce residue dell’antica “foresta di Lecce” la Via del Carro passa davanti ad una vecchia pagghiara.

    Parco Rauccio

    Parco Rauccio

     

    E’ un tratto molto importante, perché è l’unico visibile, all’interno dell’antica foresta di lecci, che un tempo congiungeva la foresta di questo territorio con l’altra più a nord, quella “oritana”, che partiva dal brindisino fino ad arrivare presso Campi salentina. Diradata la foresta, a poche centinaia di metri dalla Masseria Rauccio, la carraia diventa più vistosa, ed ai suoi margini affiorano cocci, forse resti di trasporto andato per terra… Il tratto più ampio e vistoso della Via del Carro riemerge dall’asfalto presso Masseria Mosca.

     

    parco rauccio

    Carraia Parco Rauccio

     

    carraia masseria giampaolo

    Carraia Masseria Giampaolo

    La strada moderna, bellissima comunque da fare in bicicletta, ricalca la vecchia traccia secolare! Da questo punto in poi è molto difficile riuscire a rintracciarne altri tracciati, la direzione prosegue verso sud, verso Otranto, ma quello che abbiamo riscontrato è comunque un tripudio di memoria storica tornata alla vista dopo secoli: da qui per secoli sono passati i carri che trasportavano l’olio lampante verso le navi che lo avrebbero portato ovunque, fino in nord Europa, fino in Russia!

  • Le scorrerie Turche a nord di Lecce

    Le campagne a nord di Lecce, fino alla zona costiera, sono da sempre state oggetto di scorrerie turche, dalla presa di Otranto (1480) in poi: il litorale basso, l’assenza di zone collinari che organizzassero una difesa del territorio con l’aiuto morfologico dello stesso, hanno lasciato queste terre in balia dei predoni, che molto spesso hanno rapinato beni e persone.

    Fra le fonti storiche che raccontano le scorrerie in questa parte di Salento ce n’è una che riporta queste parole: “A 27 settembre 1711, di domenica, la notte i Turchi scesero nella torre della Specchiulla (Casalabate) ed arrivarono vicino a Cerrate e saccheggiarono la Chiesa, portandone tutti li paramenti, sfreggiando l’immagine della Santissima Vergine e del Crocefisso, e tutta la gente che stava in detta Massaria e delle altre dove passarono ne trasportarono da circa 44 persone tra maschi e femine e per tale effetto fu carcerato Gaetano Fiore sopraguardia per non aver esercitato bene il suo impegno ed assistito alla marina”.

    Santa Maria di Cerrate

    Santa Maria di Cerrate

    Una delle Madonne affrescate di Cerrate

    Una delle Madonne affrescate di Cerrate

    Pochi anni dopo, nel 1714, si trova quest’altra fonte: “A 23 settembre, domenica, la notte li Turchi calarono in queste nostre marine nel luogo detto Cannolito (verso San Cataldo) saccheggiando diverse masserie ed in particolare quella della Lamia della Mensa vescovile e ne portarono via 40 persone fra maschi e femine e nella stessa notte andarono all’Acaya ma non fecero preda veruna”.

    Ci sono testimonianze che riportano incursioni piratesche ancora alla fine del Settecento. Il quadro che emerge da queste fonti è raccapricciante: oltre alle devastazioni di chiese e case incendiate, è chiaro come i Turchi rapissero le persone, specialmente donne e bambini, per farne schiavi da portare in Turchia. É chiaro anche che questa zona a nord di Lecce fosse per loro proficua, in quanto densamente abitata da una grande comunità di contadini. Che, nonostante tutto e i pericoli connessi, hanno sempre deciso di continuare a vivere e lavorare in questa fertile terra ospitale, senza piegarsi ai tempi cupi della Storia.

  • Chiese e cappelle dei campi del nord leccese

    La gran massa di gente e comunità che si stanziò nelle campagne a nord di Lecce per lavorare la terra nella prima metà del Cinquecento, fece sorgere quasi spontaneamente diverse chiese, spesso molto lontane dalla città, che permettevano ai fedeli di poter seguire le funzioni religiose la domenica senza per questo dover partire (spesso a piedi) col seguito della famiglia, per il capoluogo. Questi templi sorgevano sempre accanto ad una masseria, abitata già di per sé da tre o quattro famiglie di contadini, ai quali si aggiungevano i fedeli che abitavano in luoghi ancora più isolati.

    Un caso a parte è la sontuosa chiesa della Madonna di Cerrate, una vera e propria cattedrale fra gli olivi, dove una comunità bizantina già lavorava la terra in quella zona prima dell’anno Mille. Fu fondata alla fine del XII secolo da Tancredi d’Altavillaconte di Lecce. La leggenda vuole che in questo luogo sia apparsa a Tancredi la Madonna, fra le corna di un cervo, da cui il nome (Cerrate o Cervate). La località fu un importante polo religioso e culturale fino al Cinquecento, successivamente trasformata in masseria. Nel 1711 l’abbazia venne saccheggiata dai pirati turchi e cadde in uno stato di abbandono, proseguito fino a tempi recenti, in cui è passata in gestione al Fondo Ambiente Italiano.

    Santa Maria di Cerrate

    Santa Maria di Cerrate

    Interno Santa Maria di Cerrate

    Interno Santa Maria di Cerrate

    Santa Maria di Cerrate

    Santa Maria di Cerrate

    Santa Maria di Cerrate

    Santa Maria di Cerrate

    Un casale medievale era anche San Ligorio, che nella sua piazzetta ospita la piccola chiesa, costruita dai Palmieri, il cui stemma nobiliare campeggia sul muro accanto.

    San Ligorio

    San Ligorio

    San Ligorio

    San Ligorio

    Non molto distante da essa, c’è Masseria Lizza, che anch’essa ospita una bellissima cappella settecentesca, al cui interno si possono vedere ancora oggi due statue, anche se molto rovinate, una delle quali potrebbe essere Santa Irene, l’antica patrona della città di Lecce.

    Masseria Lizza

    Masseria Lizza

    Anche presso Masseria Solicara, complesso masserizio di notevole interesse sorto dall’accorpamento di due torri in epoca cinquecentesca, si trova una bellissima chiesetta: l’interno, anche se rimaneggiato, mostra ancora il gusto barocco col quale fu decorata, dai fregi che ne adornano l’interno. La pala d’altare mostra una tela imponente, ma che necessita un restauro conservativo, in quanto si riconoscono appena due frati, ma non la scena che un tempo era descritta.

    Ai margini di ciò che rimane dell’antica “Foresta di Lecce”, nel feudo di San Marco, sorge la chiesa di Masseria Rauccio, che nel catasto onciario di Lecce del 1755 troviamo riportata fra i beni del “Venerabile Convento della Santissima Annunciata dè P.P. Predicatori fuori le Mura di Lecce”. Purtroppo, del monumento, riconducibile al 1600, restano soltanto alcuni brandelli dei muri perimetrali, ma i frammenti dell’altare testimoniano la ricchezza di questa chiesa, che costituiva il punto di riferimento religioso per tutti i contadini dell’antico feudo di San Marco.

    Masseria di Rauccio

    Masseria di Rauccio

    Masseria di Rauccio

    Masseria di Rauccio

    Masseria di Rauccio

    Masseria di Rauccio

    Presso Masseria Coccioli, riportata nella “Platea di Cerrate”, esiste ancora oggi un’altra chiesetta. Questo complesso masserizio, sorto nel Cinquecento, è di notevole interesse storico e architettonico, e nella seconda metà del Settecento divenne “casino di villeggiatura” del nobile Oronzo Maresgallo, alle cui dipendenze lavoravano tutti i contadini che frequentavano questa chiesetta.

    masseria coccioli

    Masseria Coccioli

    La chiesa di Masseria Monicelli ha oggi perso tutte le sue originarie caratteristiche, compresi gli arredi, ma testimonia come anche qui, siamo sempre più nel nord leccese, la presenza religiosa era più che mai necessaria.

    masseria monicelli

    Masseria Monicelli

    Facente parte della “Platea di Cerrate”, c’è infine anche la chiesa di Masseria Ghietta. Oggi è proprietà privata e non più accessibile, ma negli anni dell’abbandono fu purtroppo depredata di tutti i suoi altari e le bellezze architettoniche in origine la decoravano.

    Masseria Ghietta

    Masseria Ghietta

    Masseria Ghietta

    Masseria Ghietta

    Masseria Ghietta

    Masseria Ghietta

    Questo scenario, riportandoci indietro nei secoli, ci permette di comprendere appieno come la vita della grande comunità contadina che abitava fuori la città, non poteva prescindere dai riti e le consuetudini religiose che da sempre hanno animato questa terra.

     

  • Frantoi e torre colombaie in Salento

    L’antica produzione e lavorazione dell’olio ha messo radici in tutto il bacino del Mediterraneo fin da tempi antichi. Una campagna archeologica israelo-americana nel 1981, scoprì a Tel Mique Akron, vicino Tel Aviv, un enorme impianto destinato alla macerazione delle olive, progettato dai Filistei. Venne così alla luce un enorme complesso industriale della civiltà filistea, risalente al 1000 a.C., dotato di circa 100 presse e impianti per la macerazione del prodotto, destinato a divenire olio, che funzionavano tramite pietre tondeggianti, con una produzione annua di circa 1000-2000 tonnellate. Anticamente l’olio greco era considerato tra i migliori.

    Trappeto Cerrate

    Trappeto Cerrate

    Trappeto Cerrate

    Trappeto Cerrate

    Le zone della Magna Grecia dove più florida era la coltura dell’olivo erano quelle di Sibari e di Taranto. Ma nella provincia di Lecce si contano centinaia di centri di lavorazione, ed anche la zona a nord del capoluogo era interessata da questa importante fonte di economia. Diverse masserie erano dotate di questi grandiosi impianti ipogei, vere e proprie opere di alta ingegneria. Gli antichi Romani molivano le olive in appositi frantoi che essi chiamavano TRAPETA o TRAPETUM. Con il termine “TRAPPETO” noi indichiamo questi luoghi dove avveniva la trasformazione delle olive in olio. I romani indicavano una macchina dove si separava il nocciolo dalla polpa. I frantoi ipogei e semipogei erano ricavati sia nei centri urbani che nei territori extra-urbani, ed in maggioranza scavandoli nelle rocce calcarenitiche, volgarmente dette: tufo, pietra mazzara o carparo e pietra leccese o biancone. Nel calcare detta anche pietra viva, i frantoi ipogei si riscontrano in numero più esiguo, ivi essendo la pietra particolarmente dura e compatta, si utilizzavano maggiormente le grotte. Generalmente sottostanti al piano stradale, raggiungono all’interno un’altezza media minima che varia dai 2,5 ai 4 metri circa. Il loro andamento planimetrico può essere classificato, in funzione della disposizione degli ambienti di deposito, di lavoro e di soggiorno, nei tipi: frantoio a camera, frantoio a corridoio, frantoio a raggera e frantoio articolato. Quest’ ultimo destinato agli operai e agli animali addetti al movimento rotatorio delle macine. Il motivo più comunemente noto che faceva preferire il frantoio scavato nel sasso a quello costruito era la necessità del calore.

    Frantoio Masseria Papa

    Frantoio Masseria Papa

    Frantoio Masseria Giampaolo

    Frantoio Masseria Giampaolo

    L’olio, infatti, diventa solido verso i 6° C. Pertanto, affinché la sua estrazione sia facilitata, è indispensabile che l’ambiente in cui avviene la spremitura delle olive sia tiepido. Il che poteva essere assicurato solo in un sotterraneo, riscaldato per di più dai grandi fumi che ardevano notte e giorno, dalla fermentazione delle olive e, soprattutto, dal calore prodotto dalla fatica fisica degli uomini e degli animali. Accanto a questo, tuttavia, vanno considerati altri motivi, principalmente quelli di ordine economico. Il costo della manodopera per ottenere un ambiente scavato era relativamente modesto perché non richiedeva l’opera edilizia di personale specializzato, ma solo forza di braccia, e non implicava spese di acquisto e di trasporto del materiale da costruzione. Anche lo smaltimento degli ultimi residui della produzione olearia era agevolato dalla facilità con cui potevano trovarsi, data la natura carsica dei sottosuolo, le profonde fenditure naturali che ingoiavano ogni traccia di quel rifiuti.

    Queste strutture hanno dimensioni planimetriche che variano da mq 200 a 700 circa ed alcune conservano — anche se in completo abbandono — ancora le vasche, con una, due o tre pietre molari e i torchi alla “calabrese” o alla “genovese”. Queste “macchine industriali” sono le più esposte al degrado e alla scomparsa dai luoghi di produzione ormai da decenni non più in attività. Ma rappresentano oggi uno specchio sul passato dei nostri antenati.

    Frantoio Cerrate

    Frantoio Cerrate

    Il lavoro delle olive non era la sola attività economica che sosteneva le comunità agricole. Intorno alle masserie c’era un’altra attività fiorente, quella dell’allevamento dei colombi. L’allevamento dei colombi risale ad epoca remota, ma a detta del prof. Antonio Costantini (Masserie del Salento, Congedo Editore) probabilmente la costruzione di edifici dedicati all’allevamento di questi volatili si può fare ricondurre alla metà del XIII secolo.

    colombaia rauccio

    Colombaia Rauccio

    colombaia rauccio

    Colombaia Rauccio

    Colombaia Masseria Mendule

    Colombaia Masseria Mendule

    Colombaia Masseria Paladini

    Colombaia Masseria Paladini

    Colombaia Masseria Provenzani

    Colombaia Masseria Provenzani

    A partire dal ‘400 in poi si comincia sistematicamente ad erigere questi grandi monumenti, che divennero quasi opere d’arte nel ‘500, che consentivano una facile nidificazione dei volatili, che entravano nella torre dall’alto (priva di copertura), alloggiando nelle centinaia di nicchie predisposte. Una porticina consentiva all’uomo di entrare all’interno, ed una serie di scalette ricavate dagli stessi conci in fase di costruzione sulla parete, accompagnava l’allevatore in alto, accedendo così alle uova, ed ai giovani volatili, prima che questi potessero volare. Per via delle alte qualità nutritive, la carne di colombo veniva utilizzata per l’alimentazione dei bambini e degli anziani, ed un brodo preparato con essa era il cibo prediletto delle donne che avevano appena partorito. Inoltre la columbina, ossia gli escrementi dei volatili, era utilizzata nella concia delle pelli, ed era ritenuta un ottimo fertilizzante per i campi.

    Questo è un piccolo spaccato della vita nei campi del nord leccese!

  • Masseria Melcarne nel lungometraggio di Folco Quilici

    Masseria Melcarne 1974. Nel lungometraggio della serie “L’Italia vista dal cielo” di Folco Quilici, una ripresa aerea immortala la masseria al minuto 6.

    Un video che è un omaggio alla Puglia ed alla sua bellezza, un viaggio alla scoperta di civiltà e luoghi, un ritorno al passato ed alla storia attraverso lo sguardo di uno dei più affermati registi del cinema italiano e la voce di alcune delle più autorevoli firme della letteratura nazionale.

    Nel 1965 la Esso Italiana affidò a Folco Quilici la realizzazione di una serie di film su “L’Italia vista dal cielo“. L’iniziativa fu particolarmente impegnativa sia per l’enorme patrimonio da documentare, che per l’innovativo uso dell’elicottero come vettore della macchina da presa. Una sorta di moderna “cartografia”, un ritratto ed una documentazione di mari, boschi, coste, città, opere d’arte note e meno note, filmate e documentate in maniera nuova.

    Un viaggio, un volo d’elicottero nella storia e nell’arte delle regioni d’Italia in cui fecero da guida a Quilici i maggiori letterati e storici dell’arte dell’epoca. Furono compagni di Quilici Sciascia, Brandi, Praz, Calvino, Piovene, Prisco, Silone, Soldati.

    Melcarne 1974

    Masseria Melcarne 1974

    Un susseguirsi di ambienti naturali e geografici diversi, raccontati dalle riprese di Folco Quilici e descritti dal grande autore Mario Praz.

    Un viaggio attraverso la storia della Puglia, delle sue civiltà, dei suoi aspetti controversi che la rendono unica e proprio per questo incantevole.

    Il filmato di Quilici, le sue descrizioni realistiche ed emozionanti regalano allo spettatore la possibilità di avvicinarsi e di conoscere i numerosi luoghi della terra pugliese, le sue molteplici sfumature che si svelano in tutta la loro autentica bellezza.

    Arte, cultura, storia. Una terra che ha visto il passaggio di numerosi popoli i cui segni sono ancora oggi evidenti. E così greci, romani, bizantini, aragonesi e anche la figura di Federico II, definito da Praz “uomo di genio, precursore dei tempi” hanno contribuito ad arricchire ed a rendere unica questa splendida regione.

    Tarantolate Galatina

    Tarantolate a Galatina

    Le immagini mostrate da Quilici esaltano la varietà di questa terra baciata dal sole. Dal promontorio del Gargano, attraverso i campi dorati del Tavoliere sino a giungere nel Salento, avvolto dall’Adriatico e dallo Ionio: in volo si osservano magnifiche distese di uliveti secolari e viti basse, ovunque ricchezze naturali e artistiche, bellezze senza tempo, memorie di vita passata e presente.

    Mari limpidi ed incontaminati, immagini suggestive che in questo viaggio aereo sopra la Puglia ne documentano uno splendore intatto, primitivo. Azzurri intensi, colori profondi, corposi che si mescolano ai bianchi delle pietre delle sue cattedrali ed alla generosità di una campagna fertile che si presenta color rosso sasso.

    Si ha la sensazione di percorrere secoli di storia, secoli di vita e di tornare, come per incanto, indietro nel tempo. Le immagini scorrono sul periodo solare della Taranto greca, con gli ori conservati al Museo archeologico; ecco la Puglia romana con le rovine di Egnazia, antica città messapica, e la Cattedrale di Trani; appare la Puglia svevo-normanna che ha il suo fulcro in Federico II e che trova la sua massima espressione nella poderosa Fortezza di Lucera e nella maestosità di Castel del Monte.

    Mietitura del grano 1974

    Mietitura del grano 1974

    Il viaggio di Quilici passa attraverso luoghi meravigliosi ed incantevoli, unici nel loro genere, come i famosi trulli che, in Alberobello, trovano la loro città simbolo che ne esalta la bellezza e la tecnica di costruzione.

    Ma l’attenzione si sofferma anche su monumenti di grande rilevanza storica ed artistica, come la Cattedrale di Otranto dell’anno mille, la Cattedrale romanica di Trani, il Duomo barocco di Lecce, la Chiesa di San Nicola di Bari.

    Uno sguardo anche ai centri cosiddetti minori, ma pur sempre così caratteristici, come Locorotondo, Polignano e Gallipoli.

    Un viaggio virtuale in cui la regione scopre i suoi mille volti, mostrandosi in tutti i suoi aspetti, con i segni evidenti di secoli di storia. Una regione magica, da scoprire, sorprendente, come ben descrivono le parole di Mario Praz:

    “… la scoperta della Puglia non finirà mai perché è un paese come il mattino, un mattino limpido, un mattino di cielo liquido e il mattino sarà lo stesso, ma non viene a noia. Ed ha sempre qualcosa di nuovo, uno spettacolo sempiterno (…). La Puglia è un meraviglioso, austero, paese arcaico. L’unico dove si assiste ancora allo spettacolo incontaminato, e per interminabili distese, di una flora anteriore alla calata degli indo-europei: solo ulivi e viti, viti e ulivi…”

    anziana sulla porta puglia

  • I dintorni di Masseria Melcarne… alla scoperta dell’Abbazia di Cerrate

    C’è un antico luogo di culto, nascosto nel verde della “foresta di Lecce”, a un tiro di schioppo da Masseria Melcarne. Un luogo magico, in cui la storia si intreccia con la leggenda, che finalmente tornerà a splendere grazie all’impegno del FAI, Fondo Ambiente Italiano.

    L’abbazia di Santa Maria di Cerrate, espressione dell’arte romanica (segnata nel Salento da evidenti impronte bizantine) fu costruita presumibilmente nel primo trentennio del XII secolo d. C., in agro di Squinzano, e rappresentò fino al XVI secolo l’insediamento di una comunità di monaci basiliani.

    Sono due le interpretazioni circa l’origine del nome dell’intero casale di Cerrate. Si ritiene che nella zona boschiva in questione, caratterizzata dalla macchia mediterranea, oltre al leccio ci fosse anche il cerro (quercus cerris), una pianta rara nell’area salentina. Al tempo stesso, può essere plausibile che nella foresta si praticasse la caccia ai cervi, dal momento che intorno al 1100 l’Arcivescovo di Brindisi pretendeva la decima su tale attività venatoria. Questa ipotesi, e dunque l’eventuale presenza dei cervi nel Salento, è confortata dai pittogrammi ritrovati nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco e nella raffigurazione di un cervo ferito sul mosaico della cattedrale di Otranto.

    Cerrate o Cervate: era questo il nome della zona ancor prima della fondazione dell’abbazia, attribuita al conte normanno Tancredi d’Altavilla, signore di Lecce. Il compito fu facilitato dalla presenza di un banco roccioso dal quale estrarre la pietra e sul quale nacque il monastero, destinato al rito greco. All’epoca, lo racconta la storia, i normanni furono tolleranti rispetto alle pratiche elleniche che si erano profondamente radicate nel Salento, a causa dell’influenza di Bisanzio, e agirono quindi per reciproche utilità, in una sorta di compromesso.

    Leggenda vuole, come testimonia uno dei principali dipinti custoditi nell’abbazia, che durante una battuta di caccia, la cerva inseguita dal conte Tancredi si rifugiò in un nascondiglio che svelò un’immagine della Madonna. A quel punto il conte si mise a pregare e dedicò alla Vergine la costruzione di un santuario.

    Oggi Cerrate, tesoro da scoprire nei dintorni di Masseria Melcarne, conserva intatto il suo fascino e attraverso un’attenta opera di restauro potrà continuare a sussurrare la sua storia alle generazioni future…

     

  • Chiesa romanica della Madonna dell’Alto

    A circa 8 km da Masseria Melcarne, immersa nel suggestivo scenario delle serre di Sant’Elia, incontriamo l’importantissima chiesa romanica della Madonna dell’Alto. L’aspetto della chiesa fa ritenere che la sua costruzione possa risalire al XIII secolo o XIV secolo. Alcuni storici datano la prima edificazione della chiesa addirittura al VI-VII secolo,quindi in epoca paleocristiana, in base ad alcuni elementi ancora presenti quali la forma dell’abside. Questo lascia quindi supporre che si tratti di una delle più antiche chiese di tutto il Salento.

    Nonostante vari interventi di restauro, rimane in deplorevoli condizioni (anche in quanto spesso oggetto di atti vandalici), nonché scarsamente segnalata da indicazioni stradali.

    Presenta una facciata semplice, in stile romanico, con un piccolo rosone. Il portale era presumibilmente completato da due colonnine, come tipico nelle strutture romaniche, oggi scomparse.
    La copertura della chiesa è costituita da un tetto a spiovente restaurato in tempi moderni. La parte retrostante della chiesa è caratterizzata da una particolare abside, bassa e larga, decorata da quattro paraste, tre larghe finestre, di cui due chiuse, e una sostituita da una stretta monofora. Sono questi gli elementi che fanno ritenere agli studiosi che l’abside sia un elemento rimaneggiato ma superstite di una precedente chiesa paleocristiana, datata al VI secolo. Una suggestiva visione!

    Nella parete sinistra della chiesa sono inseriti una colonna rudentata e un capitello di stile dorico. Sopra il capitello è visibile un pulvino decorato da una croce affiancata da decorazioni vegetali con foglie disposte a spina di pesce.

    La posizione di questo monumento rientra in una supposta linea di confine che nell’alto medioevo divideva il Salento in due parti, controllate a nord dai Longobardi e a sud dai Bizantini, un’altra traccia storica che sottolinea l’importanza di questo luogo.

    Chiesa madonna dell alto serre di Sant'Elia

    Chiesa romanica della Madonna dell'Alto

    esterno Chiesa romanica della Madonna dell'Alto

    interno Chiesa romanica della Madonna dell'Alto

    particolare Chiesa romanica della Madonna dell'Alto

    particolari interni Chiesa romanica della Madonna dell'Alto

    colonne Chiesa romanica della Madonna dell'Alto

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  • Masserie storiche intorno a Melcarne: Masseria Mendule

    mappa masseria menduleA circa tre chilometri da Masseria Melcarne, lungo la strada che porta verso Torrechianca, incontriamo Masseria Mendule, un’altra delle grandi masserie fortificate di questa zona, il cui svettante edificio turriforme, attrezzato di caditoie, si scorge minaccioso già da lontano. A prima vista, si capisce quanto fosse importante per i coloni che vivevano in queste lande selvagge, la sicurezza personale: infatti, tutte le porte e le finestre sono sorvegliate da queste aperture dall’alto che, in caso di pericolo, buttavano olio bollente e quant’altro potesse far male, sui malcapitati aggressori.

    masseria mendule torre

    L’edificio si sviluppa su due piani, e durante il 1700 risulta essere di proprietà dei baroni Tramacere. Confinava con i feudi di San Marco e di Cerrate ed era quasi completamente circondato da oliveto.

    Adiacente alla masseria si erge maestosa una grande torre colombaia, sulla quale si vede ancora lo stemma della famiglia Riccio, successivi proprietari dell’immobile.

    I colori di queste campagne, al tramonto, non possono che commuovere qualsiasi visitatore passi da queste ormai solutarie contrade.

    © Riproduzione riservata – Photo: Alessandro Romano

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    © Riproduzione riservata – Photo: Alessandro Romano