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Storia
e territorio

Attorno ad una torre fortificata del XVI secolo sorge la Masseria Melcarne.

Costruita tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, la torre è riportata come “Masseria Melcarne” in un atto notarile del 1653 nel quale Filippo Prato la cede al napoletano Giulio Pepe barone di Surbo per 1636 ducati.

Nel 1741 è così descritta tra i beni della famiglia Severini: «Masseria Melcarne consistente in curti, case, capanne, casino e giardini per comodo di detta masseria e con chiusure seminatorie, olivate e vigneti.»

Nel 1890 risulta affittuario Michele Bonerba di Lecce.

Nel XVIII secolo, l’edificazione di due magnifiche balconate ha modificato la destinazione d’uso originaria della torre-masseria, costruita inizialmente come torre di avvistamento e quindi con funzione di difesa, trasformandola in una residenza signorile di campagna. Ai lati, due colombaie a pianta quadrata ripetono in scala ridotta il profilo dell’edificio, producendo un singolare effetto scenografico.

Storia recente

LE TAPPE DELLA STORIA

Dalla vecchia tenuta all’odierna Masseria Melcarne

Nel 1967, l’avvocato Raffaele Leo, affascinato dalla bellezza della torre, decise di acquistare la masseria, inserita in una vendita all’asta.

«All’epoca era disponibile il nucleo centrale della vecchia tenuta, che non faceva gola a nessuno, trattandosi di terreni utilizzati principalmente per la pastorizia. I pochi alberi di ulivo erano circondati da una fitta macchia mediterranea dove pascolavano mucche e greggi di pecore, come testimonia la presenza degli ovili, oggi ristrutturati.»

L’istinto dell’avvocato Leo ebbe la meglio, dimostrandosi nel tempo lungimirante.

Trascorsero degli anni prima che il nuovo proprietario, subentrato al trepuzzino Paolino Bianco, mettesse mano al complesso fortilizio per dargli una nuova immagine e dunque una nuova vita.

Raffaele Leo su quei terreni avviò un’azienda agricola, puntando sulla produzione dell’olio di oliva. Dal 1985, è il figlio Francesco ad occuparsi dell’attività olearia.

Grazie ad un’imponente crescita degli ulivi, inizialmente si contavano circa 2000 alberi, oggi Masseria Melcarne conta più di 10mila alberi d’ulivo distribuiti su circa 65 ettari, dotati di impianti di irrigazione a goccia. L’amore e la dedizione nei confronti di questa pianta hanno dato nuova linfa alla masseria, divenuta cuore pulsante di un’intensa attività produttiva.

Dalla spremitura dei frutti raccolti durante l’inverno sgorga l’olio, l’oro liquido che arricchisce ed esalta i sapori della cucina salentina e non solo.

storia della torre fortificata
storia della torre fortificata
storia della torre fortificata
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L’azienda agrituristica, condotta dalla famiglia Leo, abbraccia un territorio impreziosito da 65 ettari di ulivi, tra i due mari, la medioevale Abbazia di Cerrate, il Parco naturale di Rauccio e le bellezze barocche di Lecce.

Masseria Melcarne vi farà vivere l’accoglienza di un ristoro naturale nel verde degli ulivi e partecipare dei tesori di una cucina che compendia sapori antichi tramandati da generazioni.

Con Masseria Melcarne è lo stesso cuore del Salento ad aprirsi agli occhi e ai sensi del visitatore.


LA LEGGENDA DELLO SCAZZAMURIEDDHRU

Lauru, Moniceddru, Scazzamurieddhru o Scarcagnulu, noi Salentini, a seconda delle zone di provenienza, lo conosciamo così.

Quella che vi stiamo per narrare è la leggenda di una figura fantastica, lontana nel tempo, in grado di affascinare ancora oggi e che molti di voi conosceranno sin da bambini, probabilmente grazie ai racconti dei nonni.

Lo Scazzamurieddhru, è un omino brutto e peloso che, sempre scalzo e con un cappellino in testa, si aggira di notte andando ad infastidire il sonno dei malcapitati sedendosi sulla loro pancia. E’ senz’altro un burlone dispettoso visto che si diverte a far chiasso con le pentole in cucina, ad annodare le criniere dei cavalli e a rompere i vetri.
I più esperti nella conoscenza di questa figura narrano che lo Scazzamurieddhru saprebbe essere anche gentile, regalando monete d’oro a chi, per ingraziarselo, gli lascia in dono un paio di scarpe.

Questo curioso ometto diventa il protettore della casa di chi sa dimostrare gentilezza e generosità e a noi piace pensare a lui come il piccolo custode della masseria.
C’è chi può addirittura giurare di averlo visto aggirarsi tra le stanze di Masseria Melcarne con l’aria di chi è qui per controllare che sia tutto in ordine.

Un gentile amico, probabilmente avendo intuito la nostra passione per le tradizioni salentine, ha deciso di condividere la sua poesia dedicata allo Scazzamurieddhru con noi. E’ così ricca e intrisa dello spirito del nostro territorio che la condividiamo con piacere con tutti voi, certi che scoprirete molto più su questa figura leggendaria dai suoi versi che dalla nostra breve introduzione.

Buona lettura!

LU SCARCAGNULU

Me presentu: suntu lu scarcagnulu
Ci quannu sta durmiti ntra lu liettu
E bu sentiti nu chiummu sullu piettu
Comu sia ca purtati nu pesulu,
Nu bu spacenziati, suntu ieu lu scarcagnulu
Ncede ci me chiama scazzamurieddru e ci lauru,
Ci uru, moniceddru o carcaluru,
Ci bu scascia lu cofanu o l’ursulu,
Ma suntu sempre ieu, lu scarcagnulu.
La notte au speannu ntra le cammere de liettu
E a ci me rreculu ni fazzu despiettu
Certu alle fimmene ni li toccanu de cchiui,
Percene ieu suntu masculu comu a bbui.
‘M posta prima le fazzu mmetrenire
E poi tutta la notte le fazzu vvelire.
O me stennu pe lluengu sullu piettu,
O le ncatinu alli cestieddri de lu liettu.
Scapiddrisciu sia quiddre beddre ca le brutte
Pesciu de le masciare ntra le rutte,

E quannu me rreculu ca sanu sciaccate
Cangiu casa e le lassu squagghiate.
Sta rediti? Ca puru ui masculi lassu mututi,
E finu alla matina restati mminchialuti.
E ci nu bu coddra cu sciati a fatia
Cuntati alle mugghieri ca ede curpa mia!
Prima cu llucisce au ntra le staddre
E alli caddri e alle sciumente ni scaccu sulle spaddre
Li fazzu mbizzarrire bueni – bueni
Pesciu de quannu scattariscianu li trueni.
A ci nni lleu la bià e ni dau la pagghia
E lu ciucciu a ddesciunu lassu cu ragghia.
Alle cude e alle crigne nni fazzu le fiette
E lu trainieri alla matina me mina sajette.
Ma preati cu nci suntu ntra casa sempre ieu
Cussì la spurtuna la tegnu larga de ui e de lu fieu.
Ci poi crediti ca ieu suntu sulu fantasia
Ci nu osce crai, la casa oscia ddenta puru la mia.

30/VI/2016 (F. Perrone)